Ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 198/2006 sono nulle le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano il licenziamento della lavoratrice in conseguenza del matrimonio. Sono, altresì, nulli i licenziamenti della lavoratrice intimati a causa del matrimonio.
Il licenziamento della lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio (sempreché segua la celebrazione), fino a un anno dopo la celebrazione (art. 1 , comma 3, legge 9.1.1963, n. 7) si presume intimato a causa di matrimonio e, di conseguenza, nullo.
Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo in cui opera la predetta presunzione, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi (che sono le stesse previste in caso di licenziamento della lavoratrice madre fino all’anno di età del bambino/a):
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Con il provvedimento che dichiara la nullità del licenziamento è disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice illegittimamente licenziata, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’invito, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa (ossia il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e la possibilità di percepire la NASPI), ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
Parimenti, sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo che va dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio (sempreché segua la celebrazione), fino a un anno dopo la celebrazione, salvo che la stessa lavoratrice confermi la sua volontà entro un mese, davanti a un funzionario dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

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