L’articolo 13 della legge 1338/1962 stabilisce che, una volta decorsi i termini ordinari per il versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro, anche per conto del lavoratore (cinque anni), quest’ultimo possa chiedere di versare una somma finalizzata alla copertura della quota di pensione derivante dai contributi eventualmente omessi, cosicché in fase di conteggio dell’importo della pensione, il lavoratore non subisca alcuna penalizzazione.
Tale facoltà, che deve essere esercitata entro i dieci anni successivi al decorso dei termini prescrizionali ordinari (cioè nei successivi 15 da quando la contribuzione doveva essere versata), può essere attivata anche dal lavoratore che, sostituendosi al datore, chieda all’INPS di versare direttamente la rendita vitalizia, fermo restando il diritto al risarcimento del danno da parte del datore di lavoro (rivalsa dell’importo versato direttamente dal lavoratore).
Con la sentenza 22802/2025 a Sezioni unite, la Cassazione afferma un nuovo principio, in forza del quale una volta prescritti definitivamente i contributi dovuti tempo per tempo, decorrerà il termine decennale per l’esercizio da parte del datore di lavoro (o del lavoratore stesso) della facoltà di chiedere la costituzione della rendita vitalizia in favore del dipendente. Decorso tale termine decennale, il lavoratore potrà esercitare la facoltà riconosciutagli dalla legge, con diritto a vedersi risarcire il danno subito nel termine ulteriore di dieci anni, scaduto il quale, tale diritto si prescrive inesorabilmente. Successivamente a tale periodo, quindi dopo 25 anni dal mancato versamento dei contributi, rimane comunque salva la facoltà del lavoratore di ricorrere alla costituzione della rendita vitalizia, con onere interamente a proprio carico e senza rivalsa.