

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota 460 del 26.10.2023, interviene per fornire una importante precisazione in ordine alle modalità di comunicazione dei dati necessari all’individuazione del rapporto di lavoro sportivo. L’INL specifica meglio quanto già previsto nella circolare 2/2023 in ordine alla possibilità di utilizzare per le comunicazioni di instaurazione del rapporto di lavoro sportivo in ambito dilettantistico, alternativamente, i servizi offerti dal Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche (RASD) o i servizi offerti attraverso i Centri per l’Impiego, ossia mediante invio telematico della comunicazione UNILAV.
Viene, tuttavia, rilevato che, al momento, il registro non è ancora pienamente operativo, in quanto manca il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell’autorità politica delegata in materia di sport, di concerto con il ministro del Lavoro, che individui le disposizioni tecniche e i protocolli informatici necessari. Pertanto, fino alla definizione dello stesso, l’unico modo per adempiere è, quindi, quello di effettuare la comunicazione UNILAV tramite i servizi telematici offerti dai Centri per l’Impiego.
Ne consegue che tutti i soggetti destinatari delle prestazioni sportive (associazioni o società, federazioni, discipline associate, enti di promozione sportiva, associazione benemerita, anche paralimpici, Coni, Cip e Sport e salute Spa) devono procedere alla comunicazione dei rapporti di lavoro sportivo con invio telematico al centro per l’impiego (articolo 9-bis, commi 2 e 2-bis, del Dl 510/1996) entro il 30 ottobre, per chi non ha ancora provveduto in tal senso, oppure entro il giorno trenta del mese successivo, per i nuovi rapporti.
A salvaguardia di chi abbia già adempiuto utilizzando i servizi comunque resi disponibili dal RASD, la nota 460/2023 fa salve le comunicazioni già effettuate entro la data di pubblicazione della nota, ossia il 26 ottobre; in questo caso, non si è tenuti ad effettuare alcuna ulteriore comunicazione al centro per l’impiego, al fine di non gravare di ulteriori adempimenti i soggetti interessati, peraltro con tempistiche molto ridotte.
Si ricorda che, come previsto dalla circolare 2/2023, il mancato adempimento comporta una sanzione amministrativa da 100 a 500 €uro ai sensi dell’art. 19, comma 3, del Dlgs 276/2003
Resta fermo, invece, in sede di prima applicazione, il termine del 31 ottobre per l’effettuazione degli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti per le collaborazioni coordinate e continuative in questione, limitatamente al periodo di paga da luglio a settembre 2023.
L’art. 1 del Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 111 del 20.9.2023, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10.10.2023 e intitolato “Rivalutazione delle ammende previste con riferimento alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonche’ da atti aventi forza di legge.” dispone che:
“1. Le ammende riferite alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonche’ da atti aventi forza di legge, sono rivalutate, a decorrere dal 1° luglio 2023, nella misura del 15,9%.“
La rivalutazione riguarda le violazioni commesse a partire dal 1° luglio 2023, mentre le violazioni precedenti, ancorché sanzionate dopo tale data, rimarranno soggette alla misura in vigore fino al 30.6.2023.
La rivalutazione non è soggetta ad arrotondamento, per cui le pene edittali sono rivalutate fino al secondo decimale.
Si ritiene che la rivalutazione non si applichi alle “somme aggiuntive” di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 che occorre versare ai fini della revoca del provvedimento cautelare di sospensione dell’attività imprenditoriale. Difatti, come rammentato più volte dall’INL, tali somme non costituiscono propriamente una “sanzione”.
Con la sentenza 840/2019 la Corte di Cassazione confermava la sentenza della Corte di Appello di Roma 2529/2013 nella quale l’adita corte rigettava la domanda pervenutale dal lavoratore volta a far valere la nullità di una serie di contratti a termine succedutisi nel periodo 2000-2008 con una importante azienda del settore radiotelevisivo.
Tra i motivi del ricorso vi era la circostanza che l’oggetto della prestazione lavorativa fosse identico per tutti i contratti a tempo determinato stipulati tra le parti, per cui in sostanza lo stesso motivo posto a base del contratto a termine fosse stato reiterato per quasi un decennio.
Il giudice adito, nel rigettare la domanda pervenutagli, riconosceva che il datore di lavoro avesse agito nel rispetto della normativa allora vigente, ovvero conformemente al D.Lgs. 368/2001, il quale all’articolo 1 comma 1 disponeva che l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato fosse consentita soltanto in presenza delle causali previste per legge, ovvero per “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Tale disposizione – poi riproposta dal D.Lgs. 81/2015 e, dopo la modifica apportata dal D.L. 87/2018, nuovamente riproposta sia pure in via transitoria fino al 30 aprile 2024 dal D.L. 48/2023, convertito in legge 85/2023 – conferiva (e conferisce ancora nella rinnovata formulazione) al contratto a termine una valenza strumentale circoscritta, e perciò prevedibile e programmabile, limitando la sua applicazione ai casi di comprovata necessità e facendone una risorsa per le aziende, senza che da ciò ne derivi però il rischio di un utilizzo abusivo.
Nel caso di specie, la Corte distrettuale – dopo una attenta disamina dei contratti a termine posti in essere tra le parti e dopo l’escussione dei testi – ha rinvenuto nei medesimi i caratteri della strumentalità e della temporaneità richiesti dalla norma in allora vigente e oggi riprodotta quasi testualmente (in quanto nei diversi contratti a termine “l’onere di specificazione delle ragioni di ricorso ai contratti a tempo determinato è stato assolto mediante indicazione puntuale della particolare attività richiesta al lavoratore, attività conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito del determinato contesto aziendale rappresentato dalla produzione televisiva anche con lo strumento di Internet”); l’analisi operata dalla Corte distrettuale non è stata censurata dal giudice di legittimità, che ne ha riconosciuto la fondatezza ed ha confermato il giudizio di merito.
In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito come la legge «nel consentire l’apposizione di un termine al contratto di lavoro a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare, nonché l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa (cfr. Cass. n. 20201 del 2017, Cass. n. 20113 del 2017, Cass. n. 208 del 2015, Cass. n. 10033 del 2010, Cass. n. 2279 del 10)».
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 21.7.2023, si è accodato ad altre pronunce simili delle Corti di merito (principalmente Milano e Torino, sia in primo grado che in appello, si veda Trib. Milano 21.2.2023, Trib. Torino 9.8.2019, Corte App. Milano 19.9.2022 n. 626, Corte App. Milano 29.6.2022 n. 579), decretando la non conformità all’art. 36 della Costituzione della paga oraria prevista dal CCNL vigilanza privata – servizi fiduciari, per la mansione di usciere. Dalla declaratoria di non conformità al dettato costituzione deriva, pertanto, la nullità delle clausole del CCNL citato e l’obbligo di applicare i minimi salariali previsti da un altro CCNL affine in base alla attività svolta.
La controversia è stata promossa, dopo la cessazione di un contratto di lavoro a termine, da un lavoratore che ha svolto mansioni di usciere con inquadramento nel livello F del CCNL citato ed ha percepito per la durata del suo rapporto di lavoro una retribuzione mensile lorda di €uro 797,14=, corrispondenti ad €uro 4.607 orari (i valori sono riferiti al CCNL applicato al rapporto e successivamente rinnovato a partire da maggio 2023 con un aumento di 20 €uro mensili lordi per il livello F).
Il lavoratore ha invocato l’inadeguatezza della retribuzione percepita, in quanto non rispettosa dell’articolo 36 della Costituzione, chiedendo il pagamento delle differenze retributive maturate. A sostegno della propria domanda, la difesa del lavoratore ha operato un confronto con altri contratti collettivi applicabili a situazioni similari, ossia: dipendenti da proprietari di fabbricati, terziario (Confcommercio) e multiservizi.
Tutti i CCNL oggetto di comparazione prevedono per mansioni analoghe a quelle svolte dal ricorrente retribuzioni orarie ben superiori: si va dal +48,47% del CCNL multiservizi, al +52,82% del CCNL per i proprietari di fabbricati, al +76,62% per il CCNL terziario (Confcommercio). Anche l’equiparazione con CCNL sottoscritti da organizzazioni sindacali non comparativamente più rappresentative, porta a trattamenti retributivi superiori d 15,41%. Il fatto singolare è che il CCNL applicato al ricorrente risulta sottoscritto da due confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Il Tribunale ha accolto la domanda, richiamando la giurisprudenza di legittimità che ha più volte affermato che i parametri per valutare l’adeguatezza della retribuzione fissata da un CCNL sono i principi costituzionali della proporzionalità e della sufficienza della retribuzione: la proporzionalità è volta a garantire una misura della retribuzione ragionevole rispetto alle energie lavorative profuse, la sufficienza è volta ad assicurare un livello minimo capace di garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La sentenza, pur riconoscendo che di regola il livello retributivo fissato da un contratto collettivo, soprattutto se stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, è accompagnato da «una presunzione di adeguatezza» (Cassazione 38666/2021), ricorda che tale presunzione non è assoluta ma solo relativa, ben potendo il lavoratore fornire prova contraria. Nel caso di specie, nel solco della giurisprudenza di merito citata infra, proprio il confronto tra la retribuzione tabellare del CCNL applicato al rapporto e quella prevista da altri tre CCNL stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, fa emergere l’inadeguatezza della retribuzione applicata e vince la suddetta presunzione, fornendone la prova contraria.
A questo si aggiunge, secondo la sentenza, la «macroscopica inadeguatezza» di una retribuzione oraria di soli 4,60 euro lordi a garantire un’esistenza veramente libera e dignitosa.
Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale conclude rilevando la nullità delle clausole collettive del CCNL della vigilanza privata – servizi fiduciari che fissano la retribuzione per le mansioni di usciere, in quanto gli altri accordi collettivi di settori affini prevedono, per identiche mansioni, una retribuzione di gran lunga superiore. Per individuare la retribuzione spettante al lavoratore in sostituzione di quella fissata dalle clausole nulle, il giudice nel caso di specie, fa riferimento alla disciplina prevista dal Ccnl per dipendenti da proprietari di fabbricati, al livello D1, che viene ritenuto applicabile all’attività di sorveglianza di un’area delimitata e all’attività di controllo degli accessi.