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Matrimonio e licenziamento. Nullità

Ai sensi dell’art. 35 del D.Lgs. 198/2006 sono nulle le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano il licenziamento della lavoratrice in conseguenza del matrimonio. Sono, altresì, nulli i licenziamenti della lavoratrice intimati a causa del matrimonio.
Il licenziamento della lavoratrice nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio (sempreché segua la celebrazione), fino a un anno dopo la celebrazione (art. 1 , comma 3, legge 9.1.1963, n. 7) si presume intimato a causa di matrimonio e, di conseguenza, nullo. Continua la lettura di Matrimonio e licenziamento. Nullità

Lavoratrice madre e giusta causa “qualificata”

Con la sentenza 2004 del 26.1.2017 la Corte di Cassazione interviene in materia di licenziamento per giusta causa di una lavoratrice madre nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento di cui all’art. 54 del D.Lgs. 151/2001, ossia dall’inizio del periodo di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del/la bambino/a.
La norma citata prevede che il divieto di licenziamento non si applichi nel caso: “colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro“.
La norma non consente il recesso in tutte le ipotesi in cui ricorra la giusta causa di licenziamento ma solo nell’ipotesi qualificata di colpa grave. Ne consegue che non è sufficiente il fatto che la condotta della lavoratrice integri una delle fattispecie contrattualmente previste per la ricorrenza della giusta causa (ciò che sarebbe sufficiente nel caso di un licenziamento “ordinario”) ma è necessaria da parte dei giudici di merito una indagine particolare volta “… ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto ed alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti, quali le possibili ripercussioni sui diversi piani personale, psicologico, familiare ed organizzativo della fase dell’esistenza in cui la donna si trova, con un rigore valutativo adeguato, ponendosi tale colpa come causa di esclusione di un divieto che attua la tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia.
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Patto di prova nullo e reintegrazione

Con sentenza n. 2912 del 3.11.2016, il Tribunale di Milano ha “esteso” la reintegrazione anche all’ipotesi del patto di prova nullo per mancata formalizzazione, equiparando il vizio di forma all’insussistenza del fatto materiale posto alla base del licenziamento disciplinare (ossia, considerando il recesso per mancato superamento della prova alla stregua di un licenziamento disciplinare). La mancanza della forma scritta non è stata considerata una causa di nullità del patto di prova in quanto la forma scritta è richiesta ad probationem e non ad substantiam.
Recita la massima (redazionale) della sentenza citata:
L’invalidità del patto di prova per carenza di forma scritta comporta l’ingiustificatezza del licenziamento ex art. 1, L. 604/1966, perché fondato su ragione inesistente. Dall’accertata inesistenza di motivazione del recesso intimato consegue la insussistenza del fatto materiale contestato e da ciò discende, ex art. 3, comma 2, D.lgs. 23/2015, la condanna del datore a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondere l’indennità risarcitoria”. Continua la lettura di Patto di prova nullo e reintegrazione

Contestazione disciplinare tardiva. Licenziamento. Nullità. Reintegrazione

Riportiamo il commento alla sentenza della Corte di Cassazione  31 gennaio 2017, n. 2513, riportato nell’approfondimento giurisprudenziale della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione afferma che se la contestazione disciplinare è tardiva il fatto contestato deve considerarsi come fatto insussistente, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18 St.lav. (comma 4). Ciò a condizione, ovviamente, che l’azienda sia in regime di “tutela reale” e non si applichino le tutele crescenti.
Nel caso di specie, la tardività era particolarmente grave, poiché l’azienda – a fronte di una lavoratrice che, dopo un trasferimento, si era rifiutata di prendere servizio nella nuova sede – aveva atteso ben 15 mesi oltre il termine previsto dal contratto collettivo per recapitare la contestazione disciplinare. Continua la lettura di Contestazione disciplinare tardiva. Licenziamento. Nullità. Reintegrazione