La Corte di Cassazione, con ordinanza 846/2024, afferma che è causa di decadenza dalla Naspi la mancata comunicazione, da parte del beneficiario, dello svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, anche se preesistente alla domanda di Naspi ed alla sua percezione.

La fattispecie in esame riguarda un lavoratore che ha svolto, contemporaneamente alla percezione della Naspi, una attività lavorativa autonoma, senza comunicare all’INPS il reddito che stimava di ricavare dall’attività stessa, secondo quanto disposto dall’art. 10, comma 1, D.Lgs. 22/2015. In primo e secondo grado i giudici hanno ritenuto non fondata la decisione dell’INPS di revocare la Naspi, in quanto il citato art. 10 farebbe riferimento all’inizio di una nuova attività di impresa o del lavoro autonomo durante l’erogazione della Naspi, mentre in questo caso il beneficiario era già titolare di partita Iva al momento della richiesta dell’indennità. Inoltre il reddito era stato comunicato, seppur oltre il termine di un mese previsto dalla normativa.

La Cassazione ritiene che l’articolo 10 (“il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la Naspi intraprenda un’attività lavorativa…“) non si riferisca solo a una «nuova attività», ma a qualunque attività svolta contemporaneamente al percepimento dell’indennità.

Peratro, l’INPS già nella circolare 94/2015, scriveva che “il soggetto beneficiario deve informare l’Inps entro un mese dall’inizio dell’attività, o entro un mese dalla domanda di Naspi se l’attività era preesistente“, per cui la posizione dell’istituto, ora confermata anche dalla Suprema Corte, era chiara e definita.

Dunque, anche in caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo prima dell’erogazione della Naspi, occorre comunicare il reddito presunto all’Inps, entro un mese, non dall’inizio dell’attività ma dalla domanda di indennità.

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