La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 3351/2023 ha ripreso una tematica già nota e affrontata in precedenti decisioni, ribadendo alcuni punti fermi in ordine alla sorte dei rapporti di lavoro ancora in essere al momento della dichiarazione di fallimento.

Con particolare riguardo alla sorte dei rapporti di lavoro, la Corte ha ribadito “come tutti i rapporti che non siano cessati prima della dichiarazione di fallimento, anche il rapporto di lavoro ancora in corso a tale data, salvo che sia autorizzato l’esercizio provvisorio, entra in una fase di sospensione, sicché il lavoratore non ha diritto di insinuarsi al passivo per le retribuzioni spettanti nel periodo compreso tra l’apertura del fallimento e la data in cui il curatore abbia effettuato la dichiarazione prevista dall’art. 72, primo comma, ult. parte l.fall., in quanto il diritto alla retribuzione non sorge in ragione dell’esistenza e del protrarsi del rapporto di lavoro ma presuppone, in conseguenza della natura sinallagmatica del contratto, la corrispettività delle prestazioni (Cass. 14 maggio 2012, n. 7473; Cass. 30 maggio 2018, n. 13693)“.

Nessuna retribuzione, salvo il caso dell’esercizio provvisorio, decorre quindi durante il periodo di sospensione che segue l’apertura del fallimento e la data in cui “il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo“.

Successivamente, la Corte precisa ulteriormente che “la dichiarazione di
fallimento non integr
[a], ai sensi dell’art. 2119, secondo comma c.c., una giusta causa di risoluzione del rapporto, sicché esso non si risolve ex lege, per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, entrando appunto, come anticipato, in
una fase di sospensione, così deviando dall’ordinario principio di diritto comune, che attribuisce una tale tutela alla parte non inadempiente …. Ed essa si giustifica perché il curatore, a tutela della soddisfazione delle ragioni dei creditori cui la procedura fallimentare è finalizzata, abbia un tempo per valutare la convenienza di una scelta, autorizzata dal comitato dei creditori, tra il subentro nel rapporto,
assumendone tutti gli obblighi dell’imprenditore (per quanto qui interessa: datore di lavoro) fallito ovvero lo scioglimento dal rapporto medesimo, senza assumerne alcun obbligo (art. 72, primo comma, ult. parte l. fall.)”.

La sospensione del rapporto, quindi, è funzionale alla tutela dei creditori e deve consentire una piena valutazione di convenienza tra la prosecuzione dell’attività con i dipendenti o il loro licenziamento. Ne consegue che “qualora, il curatore fallimentare opti … per lo scioglimento del rapporto, esso cessa per effetto, non già della dichiarazione di fallimento ex se, bensì, in presenza di un
giustificato motivo oggettivo quale, come nel caso in esame, la cessazione ell’attività di impresa, per effetto dell’esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi (Cass. 11
gennaio 2018, n. 522; Cass. 28 maggio 2019, n. 14503)”.

Si ribadisce, quindi, come il fallimento non costituisca una giusta causa di recesso (senza preavviso, ex art. 2119 cod. civ.) ma neppure una fattispecie di risoluzione, per così dire, “automatica” del rapporto di lavoro, essendo sempre e comunque necessario procedere a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (plurimo, se del caso) per cessazione di attività o ad un licenziamento collettivo, ai sensi della legge 223/1991, ricorrendone i presupposti.

Ne consegue ulteriormente che “se il rapporto si scioglie in tal modo, in assenza di un periodo di preavviso nel quale il lavoratore abbia potuto prestare la propria
attività, egli matura, così come stabilito dall’art. 2118, secondo comma c.c., il diritto alla relativa indennità sostitutiva (Cass. 31 luglio 2019, n. 20647)
“.

Quindi, in caso di fallimento, i rapporti di lavoro non cessati proseguono dopo l’apertura del fallimento, entrando in una fase di sospensione del rapporto (salvo il caso dell’esercizio provvisorio), fino a quando il curatore non valuti conveniente per la procedura procedere al licenziamento dei dipendenti ancora in forza. Il licenziamento avviene per giustificato motivo oggettivo, dovuto a cessazione dell’attività, con obbligo di preavviso (ex art. 2118 cod. civ.), sostituito con il pagamento della relativa indennità sostitutiva, stante la sospensione dei rapporti di lavoro per effetto dell’apertura del fallimento.